Art Pepper (1925 -1982)
Una visione personale della musica
Art Pepper è stato uno dei più importanti sassofonisti jazz degli anni 50 e poi di nuovo negli anni 70. La sua carriera si snoda attraverso due periodi ben riconoscibili. Il primo periodo coincide con l’avvento del cool jazz e del suo superamento fra il 1949 e il 1957. Poi, dopo un lungo periodo di attività intermittente continuamente inframezzata da periodi di ricovero o di detenzione a causa della droga, ritorna , in modo graduale , sulla scena del jazz degli anni 70’ per dare luogo a quella che si potrebbe definire una seconda carriera nella quale appare profondamente trasformato sia sul piano stilistico che su quello umano. La parabola artistica tracciata da Art Pepper nel corso della sua vita è ponte fra due ere del jazz e conduce da una concezione musicale ancora completamente governata dagli elementi formali dello swing, del bebop e poi del cool jazz, ad una visione che riconosce al momento solistico una libertà ulteriore rispetto ai canoni stilistici delle epoche precedenti.(continua)
Note Biografiche
Arthur Edward Pepper, Jr. nasce il 1 settembre 1925, a Gardena in California. Muore per le complicanze di un ictus il 15 giugno 1982 a Panorama in California. Figlio di Arthur, Sr. (scaricatore di porto / marinaio / macchinista) e Mildred Bartold. Si sposa tre volte: con Patricia (Patti) Madeleine Moore, 1943, con Diane Suriago, 1957 e con Laurie La Pan Miller, 1974. Ha una figlia: Patricia Ellen. Art Pepper trascorre la sua adolescenza nella vicina San Pedro dove inizia a suonare il clarinetto all’età di 9 anni. Le origini italiane della madre sono citate come motivo di propensione alla musica dato che da lei partono le pressioni per far acquistare al figlio uno strumento musicale. Portato da un’insegnante, Leroy Parry, questi assegna il clarinetto al bambino che verrà subito spinto dal padre ad esibirsi di fronte agli amici nei bar nei brani più noti del momento. Passerà a 12 anni all’alto sax. La sua adolescenza è caratterizzata dalla assenza dei genitori determinata dalla professione del padre e dalla scarsa propensione alla vita domestica della madre alla quale si sostituisce una fredda e severa nonna. Fonte principale su di lui è la sua autobiografia scritta nel 1974 con la terza moglie Laurie dal titolo “Straight Life – the story of Art Pepper” ancora non disponibile in italiano. Altre fonti interessanti su Art Pepper sono elencate in coda nel paragrafo “fonti”. Uno dei primi concerti di cui si ha notizia è quello che fece a 15 anni nella band di colore di Lee Young al Alabam Club sulla Central Avenue, locale che può essere considerato la casa del jazz nella Los Angeles prima della guerra. Oltre a Lee Young, fratello di Lester presentato a Pepper da Dexter Gordon, all’Alabam Club che è teatro di jam e gig il giovane Arthur ha modo di suonare con Louis Armstrong, Roy Eldridge, Jimmy Blanton, Johnny Hodges, Coleman Hawkins, Ben Webster e Dexter Gordon. Ma è proprio Lee Young a presentarlo al maestro del sax alto Benny Carter nella orchestra del quale come secondo alto a fianco di Benny egli impara moltissimo specie quando nelle serate con poco pubblico si ritrova da solo a condurre l’orchestra suonando con la sezione a 4 parti nel ruolo di primo alto. In corrispondenza di una tournee nel sud Carter sostituisce per motivi di colore il suo altista bianco ma lo prepara ad avere una audizione con Stan Kenton che sta formando la sua orchestra. Lì alle prese con materiale armonico più complesso approfondisce le sue conoscenze guidato dal tenorista di Kenton Red Dorris. È il 1942 ed ha 17 anni. Nel periodo di permanenza nella band di Kenton il bambino gracile e sempre malato si trasforma in un robusto adolesce che continua il suo sviluppo senza guida passando tutto il tempo lontano dalla scuola sperimentando la vita tournè le droghe leggere e l’alcol. A metà del 43, sposato con Patti Moore di 16 anni, viene chiamato sotto le armi e arruolato nella Polizia Militare e come musicista. A Londra suona con alcuni gruppi jazz britannico. Mentre è lì nasce, da Patti, la sua unica figlia. Dimesso dall’esercito nel 47’ passa alcuni anni in lotta per l’occupazione e si addentra ulteriormente nell’uso delle droghe. Kenton, con il quale Pepper aveva fatto la sua prima incisione nel 1943, lo riconvoca e fino alla fine del 1951 Pepper è di nuovo in tour permanente. La band lo vede a fianco di Maynard Ferguson, Shorty Rogers, Kay Winding, Milt Bernhart, Bob Cooper, Bud Shank, Shelly Manne. E ‘stato durante questo periodo on-the-road che Pepper solitario, insicuro e spesso insoddisfatto musicalmente diventa dipendente dall’eroina, una sostanza che avrebbe dominato la sua vita fino al 69. Probabilmente la sua registrazione più famosa di quel periodo è la sua performance mozzafiato di “Art Pepper”, scritto da Shorty Rogers ed eseguita sempre nell’orchestra di Kenton come parte di una serie di brani dedicati ai membri della sua band. Stanco, come altri, di trascorrere la vita sugli autobus, lascia Stan Kenton nel 1951 per formare un suo gruppo. Nel 1952 è secondo solo a Charlie Parker nel sondaggio del Down Beat come miglior sassofonista. Di tanto in tanto registra per Shorty Rogers e Shelly Manne. Firma un contratto con la Contemporary Records nel 1957. Dal 1953 al 1966 ha inizio una lunga serie di ricoveri e incarcerazioni per violazioni delle leggi sulla droga all’epoca molto severe che limitavano anche il solo uso personale. Inolte è spesso protagonista di furti ed infine di vari crimini compiuti in gruppo. I suoi compagni dell’epoca testimoniano di un carattere instabile tanto da non essere adatto a maneggiare armi. Pratica il sax anche in prigione. Nel 66’ influenzato da Coltrane passa al Tenore per un periodo. Nel 68 ormai fuori dal carcere, suona nella band di Buddy Rich ma la sua ripresa è interrotta da gravi problemi di salute. Nel 69’ incontra la sua terza moglie, Laurie che sposa nel 74 e che lo aiuta in un graduale ritorno alla scena musicale. Dal 68’ al 74’ Pepper incide un solo album. Dal 75 ritorna alla contemporary ed inizia ad incidere una serie di album con i quali avvia la sua definitiva ripresa. Come già detto, muore nell’82 quando ormai gli album incisi dal 75’ sono più di 40, accompagnati da tour in America, Europa, e Giappone. Di seguito riporto la discografia che evidenzia come la produzione discografica di Art Pepper sia aumentata e diminuita assecondando i vari periodi della sua vita.
Discografia da leader selezionata suddivisa per anni:
- 1952
- Art Pepper Early Days, Vol. 1 (Norma (J) NLP 5001
- Art Pepper Live At The Lighthouse ‘52 (Norma (J) NOCD 5630)
- The Early Show (Xanadu 108)
- The Late Show (Xanadu 117)
- Art Pepper (Discovery DL 3019)
- 1953
- Art Pepper Discoveries (Savoy SJL 2217)
- The Complete Surf Ride (Savoy Jazz (J) K30Y 6187/88)
- Art Pepper W.Sonny Clark Trio-Straight Ahead Jazz, Vol. 1 (S.A. Jazz SAJ 1001)
- Art Pepper With Sonny Clark Trio – Straight Ahead Jazz, Vol. 2 (S.A. Jazz SAJ 1004)
- Art Pepper Quintet (Discovery DL 3023)
- 1956
- Art Pepper Plays Shorty Rogers And Others (Pacific Jazz PJ-LA 896-H)
- The Return Of Art Pepper (Jazz West JWLP 10)
- The Art Pepper Quartet (Tampa TP 20)
- The Art Pepper Quartet (Fantasy OJCCD 816-2)
- The Way It Was! (Contemporary S 7630)
- Art Pepper With Warne Marsh (Contemporary (J) VICJ 23640)
- Modern Art (Intro ILP 606)
- 1957
- Early Art (Blue Note BN-LA 591-H2)
- The C.Art Pepper Aladdin Recordings, Vol. 2 – Modern Art (Blue Note CDP 7 46848-2)
- Art Pepper/Sonny Criss/Bud Shank – The Altoman (Norma (J) NLP 5004)
- Meets The Rhythm Section (Contemporary C 3532)
- The Art Of Pepper (Omegatape ST 7020)
- The Art Of Pepper, Vol. II (Overseas (J) ULS 1534-V)
- Omega Alpha (Blue Note LT 1064)
- The Art Of Pepper, Vol. II (Omegatape ST 2030)
- The Complete Pacific Jazz Small Group Recordings Of Art Pepper (Mosaic MR3-105)
- The Artistry Of Pepper (Blue Note CDP 7 97194-2)
- Mucho Calor (Andex AS 3002)
- 1959
- Art Pepper + Eleven – Modern Jazz Classics (Contemporary M 3568)
- Art Pepper + Eleven – Modern Jazz Classics (Fantasy OJCCD 341-2)
- The Subterraneans (MGM E 3812)
- 1960
- Gettin’ Together (Fantasy OJCCD 169-2)
- Smack Up (Contemporary M 3602)
- Smack Up (Fantasy OJCCD 176-2)
- Intensity (Contemporary M 3607)
- 1964
- Art Pepper Quartet ‘64 In San Francisco (Fresh Sound (Sp) FSR 402)
- Live At Donte’s, Vol. 1 (Fresh Sound (Sp) FSR 5001)
- Live At Donte’s, Vol. 2 (Fresh Sound (Sp) FSR 5002)
- 1975
- Memorial Collection, Vol. 3 – I’ll Remember April (Trio (J) PAP 25041)
- Living Legend (Contemporary S 7633)
- Living Legend (Fantasy OJCCD 408-2)
- 1976
- On The Road (Contemporary S 7636)
- The Trip (Contemporary S 7638)
- The Trip (Fantasy OJCCD 410-2)
- Memorial Collection, Vol. 4 – A Night In Tunisia (Trio (J) PAP 25044)
- First Live In Japan (Polydor (J) J00J 20390)
- No Limit (Contemporary S 7639)
- No Limit (Fantasy OJCCD 411-2)
- Thursday Night At The Village Vanguard (Fantasy OJCCD 694-2)
- Live At The Village Vanguard (Contemporary (J) GXH 3009/11)
- The Complete Village Vanguard Sessions (Contemporary 9CCD 4417-2)
- More For Les: At The Village Vanguard, Vol. 4 (Contemporary C 7650)
- More For Les: At The Village Vanguard, Vol. 4 (Fantasy OJCCD 697-2)
- Friday Night At The Village Vanguard (Fantasy OJCCD 695-2)
- The Village Vanguard Collection (Contemporary (J) VDP 5043/46)
- Saturday Night At The Village Vanguard (Fantasy OJCCD 696-2)
- San Francisco Samba (Contemporary CCD 14086-2)
- The Gauntlet (Soundtrack) (Warner Bros. BSK 3144)
- 1978
- Memorial Collection, Vol. 2 – The Summer Knows (Trio (J) PAP 25038)
- Among Friends (Interplay IP 7718)
- Among Friends (Interplay (J) ARTCD 18)
- Today (Galaxy GXY 5119)
- The Complete Galaxy Recordings (Galaxy 16GCD 1016-2)
- 1979
- New York Album (Galaxy GXY 5154)
- So In Love (Artists House AH 12)
- Artworks (Galaxy GXY 5148)
- Stardust (Artists House (J) VDJ 1008)
- Landscape (Galaxy GXY 5128)
- Landscape (Fantasy OJCCD 676-2)
- Besame Mucho (Galaxy (J) VIJ 6372)
- Straight Life (Galaxy GXY 5127)
- Straight Life (Fantasy OJCCD 475-2)
- Winter Moon (Galaxy GXY 5140)
- Winter Moon (Fantasy OJCCD 677-2)
- 1981
- With Duke Jordan In Copenhagen 1981 (Galaxy 2GCD 8201-2)
- Art Lives: The Maiden Voyage Sessions, Vol. 2 (Galaxy GXY 5145)
- APQ: The Maiden Voyage Sessions, Vol. 3 (Galaxy GXY 5151)
- Arthur’s Blues (Fantasy OJCCD 680-2)
- One September afternoon (Galaxy GXY 5141)
- Roadgame: The Maiden Voyage Sessions, Vol. 1 (Galaxy GXY 5142)
- Roadgame: The Maiden Voyage Sessions, Vol. 1 (Fantasy OJCCD 774-2)
- Art ‘N’ Zoot (Pablo PACD 2310-957-2)
- Darn That Dream (Real Time RT 309)
- Tete-A-Tete (Galaxy GXY 5142)
- Goin’ Home (Galaxy GXY 5143)
- 1982
- Last Concert 1982 – Final Art (Tofrec (J) TFCL 88918)
Art Pepper – una visione personale della musica
La trasformazione artistica di Art Pepper, nella seconda parte della sua carriera porta sulla scena del Jazz un elemento di estrema personalizzazione del linguaggio che trascende le abitudini espressive consolidate nel Jazz fino agli anni 50’ utilizzando una modalità vecchia ma in modo nuovo. È gia insito nel Blues, infatti, l’abitudine di dare rilievo ai sentimenti del singolo che viene posto a rappresentare come protagonista quelle vicende interiori che riguardano, in verità, tutti. E questa abitudine diviene perno stesso della evoluzione del Jazz del quale a tutt’oggi non è possibile estrapolare una storia senza ripercorrere le vicende dei singoli protagonisti. L’origine di questa matrice espressiva è riconducibile ad una molteplicità di elementi che permeano la cultura di tutti i tempi. Dalla tragedia greca, al concerto solistico del 700, allo spiritual, al blues l’eterna contrapposizione solista/coro porta con sé tutte le problematiche attinenti al rapporto di ognuno di noi con la collettività. Ma questo sfugge all’ambito di questa trattazione. Ciò che appare interessante in questo ristretto ambito in merito a questo problema è costituito dalla modalità con la quale l’elemento personale così fortemente presente nel Jazz si vada lentamente e gradualmente rivelando come sorgente di nuove prospettive capaci di reinnescare continuamente il cambiamento e la evoluzione del presente in qualcosa di nuovo, inaspettato, imprevedibile. Nel corso dei suoi circa 100 anni di storia il Jazz travalica l’ambito ristretto di musica popolare di funzione per divenire una espressione artistica autonoma. Questo processo è stato premiato dalla storia dato che ci ha restituito una quantità enorme di musica meravigliosa e più di ogni altra cosa la possibilità di procedere come esseri umani in un cammino culturale che muove necessariamente dalle conquiste del passato. Tuttavia nella prospettiva di una evoluzione del concetto di espressione personale è possibile , a mio avviso, rilevare un ostacolo che oggi probabilmente siamo in procinto di superare ma che non cessa di rinnovare la propria presenza anche al di fuori della questione squisitamente musicale. Questo ostacolo è rappresentato dalla costante spinta a ricomporre le voci individuali in un ordine prestabilito. L’ordine al quale mi riferisco coincide da principio con la questione razziale. Ogni tentativo di separare, in questo senso , la storia del Jazz da quella degli afroamericani è altrettanto arduo che non pensare di separarla dalla storia della musica bianca. E quindi il modo di rapportarsi a questa musica di minoranza della società americana di fine 800 imprime, a mio avviso, un elemento di ghettizzazione dal quale i musicisti di Jazz hanno tentato inutilmente di liberarsi. Il Minstrel Show, che ha dominato la scena dell’intrattenimento per oltre un secolo, metteva in scena un musicista selvaggio, animalesco, ingenuo, affascinante ma in definitiva inferiore all’uomo bianco nella scala evolutiva, in definitiva inferiore ma buono, forse felice della propria ingenuità. Un tipo di personaggio che potrebbe far pensare che tutto sommato è stata la natura ad assegnare alla gente di colore questo posto sulla scala evolutiva e quindi la coscienza dell’uomo bianco alla fine è salva. Pur essendo questo lontano dal poter essere scambiato per una vera integrazione tuttavia rappresenta l’opportunità di salire sulla scena senza essere rifiutati. E’ una porta piccola per accedere al mondo dello spettacolo ma è pur sempre una porta. E’ stata la porta di entrata per accedere al pubblico americano attraverso la quale è dovuta passare questa musica, appena socchiusa, piccola e nascosta perchè da quella porta sarebbero dovute passare insieme alla musica le eco della coscienza profonda di un popolo la cui storia è macchiata in origine da un peccato indelebile. E cosi i musicisti hanno imparato a camminare “On the sunny side of the street”. Sotto la luce dei riflettori, perché tutti potessero sentirsi placati nella propria insicurezza che è l’insicurezza di chi, in colpa per qualcosa, teme inconsciamente una qualche rappresaglia. Su questo basso di fondo la storia del Jazz ha visto elaborare mille strategie per sdoganare alla coscienza i contenuti profondi di cui i musicisti sono portatori. Il linguaggio quindi si modella in vari modi, nelle varie fasi, per essere accettato da un pubblico sempre più grande. Si va dalla”depurazione” della musica Jazz dagli elementi neri come avviene nel grande concerto organizzato da Paul Whiteman il 24 febbraio del 1924 (l’ esordio “ufficiale” di questa musica in un contesto “colto”), alla tradizione del buffo “negro dandy” che vede nel musicista nero un uomo sentimentale, giggione e inoffensivo di cui lo stesso Armstrong è parziale espressione. Questa particolare identità ha prodotto personaggi musicalmente straordinari che hanno trovato il modo di essere accettati e ai quali va riconosciuto il merito di avere fissato un punto dal quale partire per le generazioni successive come Cootie Williams o Cab Calloway ma più o meno inconsapevolmente questo messaggio di auto limitazione ha investito buona parte del Jazz delle origini fino all’avvento del Bebop. Mi vengono in mente le grandi mode esotiche esplose intorno all’ Egitto o all’oriente in genere (Rodolfo Valentino) o al Jungle Style che dal Cotton Club ha irradiato il fascino del selvaggio e dell’animalesco di cui il Jazz sà essere portatore. Ci sono poi gli aspetti funzionali della musica che trovano nel ballo una perfetta collocazione. E di nuovo il solista elabora infinite variazioni ritmiche che possano lasciare intatta la funzione primaria della musica da ballo. Su questo si potrebbe aprire una ricca trattazione di ciò che è avvenuto nella evoluzione delle orchestre swing. Infine cosa dire delle grandi rivoluzioni musicali. Il bebop nasce come ribellione a ciò di cui abbiamo parlato, ma il risultato è una ulteriore ghettizzazione, il pubblico diminuisce, il più facile rhythm and blues fa la sua comparsa e ne capta in parte il pubblico, le orchestre swing perdono l’appeal che le ha viste dominatrici assolute della musica degli anni 30’ e 40’. Nasce lo stile californiano che tenta di recuperare punti con la dolcezza e la compostezza formale. Ma qui succede qualcosa in più. Un po’ come una storia di amore e odio fra il Jazz ed il suo pubblico la successione degli strappi e poi delle concessioni da’ luogo, come in tutte le relazioni umane, ad una economia di scambio nella quale abbassare i toni fa avvicinare le parti ma senza cancellare del tutto l’eco dei toni forti passati che restano nel vissuto e non cessano di ricordare che abbiamo, almeno un po’, rotto col passato. Anche il free jazz e la rivolta nera degli anni 60 hanno cercato la rottura rispetto a questa omologazione ma la libertà individuale è qualcosa che sfugge alle contrapposizioni di blocchi tanto potenti. Per concludere questo ragionamento e venire a ciò che rappresenta il lavoro di Art Pepper nella evoluzione del concetto di espressione personale desidero partire da alcune sue considerazioni tratte da una sua intervista. Naturalmente egli non è stato l’unico musicista ad intraprendere questa strada. Nelle interviste che ha rilasciato ha spesso parlato della notevole influenza che la musica di Coltrane ha esercitato su di lui, ma dicendo questo contestualmente ribadisce l’importanza di non allinearsi nella schiera degli imitatori dei grandi capiscuola suoi contemporanei (Parker e Coltrane) ma di usarne l’influenza per ampliare il proprio vocabolario e renderlo ancora più efficace nella ricerca di una propria personale espressività. L’intervista è quella rilasciata nel 1979 a Les Tomkins: “But it’s very hard to be an individual. When I joined Kenton the second time, after the Army, everybody listened to Charlie Parker records, or classical records, or Woody Herman, you know. They’re all saying: “Oh, that’s the greatest player in the world. Nobody can play like him,” and all that. And it was really a drag, at that point, to be thought of as nothing, in comparison to Charlie Parker. He’s the only person that’s saying anything. Which I disagreed with but it didn’t change the way they felt. So it was hard to keep playing yourself, because people really try to change you. Fortunately, I was able to hold my own until I heard John Coltrane, and then I fell by the wayside for a little while. But fortunately again, I’m back to myself again……….” “E’ molto difficile essere personale, Quando mi sono riunito a Kenton dopo essere stato sotto le armi tutti quelli che avevano ascoltato i dischi di Charlie Parker o i dischi di musica classica o quelli di Woody Herman … dicevano : “Oh questo è il più grande sassofonista del mondo, nessuno può suonare come lui” e via di seguito. E a quel punto il fatto di essere considerati un nulla in confronto a Parker era come essere camuffati da una maschera ( drag = Travestimento). Sembrava egli fosse l’unica persona che stava dicendo qualcosa. Io non ero d’accordo ma ciò non cambiava il loro punto di vista. E così era duro continuare suonare te stesso perché la gente cercava veramente di cambiarti. Fortunatamente fui capace di rimanere ancorato a me stesso fino a quando ebbi ascoltato John Coltrane e per un po’ mi dimenticai di me. Ma fortunatamente tornai poi a me stesso di nuovo… Le parole che seguono riguardano invece la necessità che si presenta, a volte, di lasciarsi arricchire da ciò che ci succede intorno: “But I thought it just helped my growth as a musician, going through the Coltrane thing, If I had stayed playing like him, then it would have been bad. It was just like you go to school, and take a certain course, for a year or a couple of years” “ Pensai che avrebbe aiutato la mia crescita come musicista il fatto di passare attraverso le cose di Coltrane. Se fossi rimasto a lungo a suonare come lui allora questo sarebbe stato negativo. E’ stato come quando vai a scuola e prendi un certo corso di studi per uno o due anni..” In un altro frammento della stessa intervista Pepper chiarisce lo scopo di questo individualismo. Esso corrisponde alla necessità interiore di realizzare in concreto il proprio progetto esistenziale. La necessità di dare luogo alle trasformazioni che conducono ad una vita intesa come espressione profonda di ciò che siamo lo guida dentro e fuori le convenzioni della professione musicale anche quando questo sembra essere in contraddizione con quanto ti viene richiesto come condizione di appartenenza alla comunità musicale. “……The next period in my life, because of my addiction problem, was a terrible one. But I don’t think I could have avoided it. I mean, I tried to stay out of it for a long time, knowing what it might do. I think that, in my searching for something, for love, acceptance or whatever it is, to be a real man, to relate to my father, and all those thing, going to prison was a help. It was part of my evolution, as a human being and as a musician. I feel that I have much deeper feelings now than I would have had, had I just been a musician all that time, which would have been a very dull existence. You know, I wanted something more than just being thought of as a musician. To be labelled “Art Pepper, musician”, would just be awful, what a boring life that would be. At least I was able to go in a lot of different directions seeing how things were from another viewpoint. I got to know myself better, definitely; I was seeing what I was capable of, what my feelings were, what my morals were all those things that are very important. What kind of strength I had the fact of dealing with certain situations, and with a whole different type of people. People were very honest, I found, in that other thing much more so than musicians. Now, I play music but I’m not a musician. I don’t know if I’m getting across what I’m trying to say, Yes, what I have become as a person is what matters most.” “ …il seguente periodo della mia vita a causa dei miei ulteriori problemi fu terribile. Ma non penso che avrei potuto evitarlo. Intendo dire che ho provato a starne fuori (dai guai) sapendo ciò che andava fatto. Penso che nella mia ricerca di qualcosa, di amore, di accettazione o qualunque cosa sia, di essere un vero uomo, di rapportarsi a mio padre, e tutte quelle cose, andare in prigione era un aiuto. Ciò è stato parte della mia evoluzione, come essere umano e come musicista. Io sento di avere sentimenti molto più profondi ora di quelli che avrei avuto se avessi impiegato tutto quel tempo a fare il musicista, il che avrebbe significato condurre una esistenza molto monotona. Volevo qualcosa di più che essere pensato solamente come un musicista. Essere etichettato “Art Pepper – musicista” sarebbe stato orrendo, che vita noiosa sarebbe stata. Almeno fui capace di andare in un sacco di direzioni diverse e vedere le cose da altri punti di vista. I devo (voglio) veramente conoscere meglio me stesso. (In quel modo) vedevo di cosa ero capace, quali erano i miei sentimenti e se avevo dei principi, tutte quelle cose che sono veramente importanti. Potevo misurare la mia forza vivendo certe situazioni con persone totalmente diverse (da me e tra di loro). In quell’altra cosa (l’altro tipo di vita) le persone che incontravo erano più oneste di quanto non fossero i musicisti. Oggi io suono la musica ma non sono un musicista, non so se riesco a rendere quello che sto cercando di dire. Si … quello che sono diventato come persona è ciò che conta di più…” Ovviamente il personaggio Art Pepper garantisce alla persona Art Pepper un punto di partenza privilegiato in questo viaggio alla ricerca di se’. Come egli stesso riconosce nella stessa intervista , non a tutti è dato di incominciare una rivoluzione poggiando i piedi su una base di notorietà come quella da lui acquisita con l’orchestra di Kenton. Inoltre parla anche del rammarico provato nello scoprire che con l’avvento di Parker le persone che avevano visto a migliaia e forse a milioni il suo nome legato a quella performance famosa del brano a lui intitolato si erano in definitiva scordate di lui. Sta’ di fatto che tale occasione non è andata sprecata e lo ha condotto alla possibilità di mettere in discussione i parametri entro i quali la vita musicale lo costringeva per scoprirsi come individuo ed offrire cosi il suo contributo all’evoluzione dello spirito musicale contemporaneo.
Elementi musicali
Dall’ascolto dei suoi dischi appartenenti al periodo che va dal 70 all’85 è possibile desumere alcuni tratti stilistici che costituiscono in concreto ciò che è stato detto sul piano teorico nella prima parte di questa trattazione. La sonorità non ha definitivamente abbandonato la morbidezza e la flessuosità simmetrica dello stile californiano del quale Art Pepper giovane è stato esponente di rilievo ma ora in aggiunta il suono si arricchisce delle armoniche dissonanti che forzano lo spettro sonoro rendendo spesso il timbro acido e spigoloso. Il vibrato è spesso usato fuori tempo e la tipica dinamica rimbalzante del bebop è trasfigurata in un uso del tutto personale. Nel bebop canonico gli accenti ritmici sono distribuiti nell’alternarsi di note chiuse e aperte in un continuo dentro e fuori che lascia leggere all’ascoltatore una molteplicità di linee melodiche la cui formulazione risponde a criteri estetici ben definiti. In Art Pepper lo stesso range dinamico dello strumento viene messo al servizio di una sorta di estremizzazione dell’atteggiamento discorsivo del blues nel quale le inflessioni del linguaggio parlato irrompono nella musica strumentale in modi analoghi a quelli del recitativo strumentale della musica classica europea. Quindi il dentro e fuori degli accenti boppistici che fanno parte della formazione tecnica comune alla maggior parte degli altoisti dopo Parker e sono quindi anche nelle dita di Art Pepper, si trasforma in una serie di pulsioni dinamiche asimmetriche slegate dalla regolarità delle semplici strutture armoniche degli standard dove tutto si svolge in un universo dove il numero 4 governa ogni cosa dalle micro strutture alle macro. Nel linguaggio convenzionale infatti, anche quando l’alternarsi di multipli e sottomultipli di 4 viene forzato da gruppi ternari o frasi asimmetriche tutto ritrova presto il suo equilibrio e l’ordine viene presto ristabilito. Nella musica di Art Pepper invece, l’onda espressiva è spesso scomposta e disordinata dando la forte sensazione che la perfezione della forma tipica del jazz californiano sia divenuta meno importante di una esigenza espressiva individuale che diviene la bussola costantemente tenuta in mano durante la performance. L’incedere ritmico è spezzato e asimmetrico. spesso le frasi concludono armonicamente in modo non coerente con lo svolgimento ritmico tanto da lasciare una sensazione di insicurezza e di scarsa preparazione alla performance. Anche il continuo inframezzare di pause ricorda l’insicurezza tipica di chi inizia a suonare il jazz senza padroneggiarne la forma. Questa formula espressiva che non rinuncia a calarsi occasionalmente nella onda emotiva tradizionalmente legata allo swing, ne anticipa però il superamento. Questo approccio discorsivo legato, come già detto in principio, al blues , ha generato una moltitudine di solisti di grandissima forza espressiva il cui elenco riempie gli indici dei volumi dedicati alla storia del jazz ma in tutta questa selva di giganti Art Pepper ha saputo indicare con voce esile una via per trasgredire ad una estetica della quale perno centrale sono stati la ricerca di una identità afroamericana da un lato e dall’altro una visione intellettualistica del jazz. Una via di mezzo che è diventata man mano una delle strade principali verso l’affermazione del principio di espressione personale. Certo non è stato l’unico ma uno dei primi e più chiari nel proprio intento, come dimostrano le sue parole. I solisti odierni sperimentano una quantità di ritmi dispari o di scansioni che possano rompere la simmetria formale legata al tempo di base 4 spesso al di fuori del tradizionale concetto di swing. Le contaminazioni fra i linguaggi che dagli anni 60’ hanno avuto luogo ormai non hanno neppure più bisogno di essere ritenute tali tanto il processo di fusione è avanzato. Anche lo spirito romantico con il quale solisti come lo stesso Art Pepper facevano sfacelo della propria esistenza in virtù di un sentimento quasi eroico di autoelevazione appartiene ormai al passato. Al passato sembrano ormai anche appartenere le correnti che nel jazz sono andate assecondando la causa afroamericana o altre forme di coesione sociale, etnica o ideologica. A questo proposito sono spesso tentato di attribuire la responsabilità della disintegrazione dei linguaggi al fatto che la possibilità di registrare è divenuta cosi accessibile a tutti che una volta esaurita la fissazione su disco di tutto ciò che preesisteva come fenomeno culturale autonomo dal mercato discografico, il disco oggi fissa le cose nel momento stesso in cui nascono entrando a far parte del processo culturale come parte in causa e non più come semplice amplificatore a posteriori. Questo sembra determinare un deterrente alla coagulazione di una nuova estetica dominante. La registrazione discografica, a me sembra, abbia determinato un fenomeno di cristallizzazione che ha operato distruttivamente sul processo creativo dei linguaggi del passato rendendoli noti a tutti nella loro forma definitiva. Ma lo stesso processo acquisito nell’atto stesso della creazione musicale rimanda all’inutilità di rifugiarsi in un ordine collettivo che possa tutelare la necessità di esprimerci come individui. Quando incomincia tutto questo? Forse con il primo disco di Jazz. Di sicuro le fratture che sottendono all’evoluzione delle cose hanno a volte bisogno di personaggi capaci di sopravvivere e di portare il testimone oltre il crepaccio che hanno trovato a sbarrargli la strada. Grazie Art! In conclusione mi sembra doveroso spendere una parola sul fatto che tutto questo è stato possibile anche grazie alla moglie Laurie Anderson che viene continuamente chiamata in causa a questo proposito da Art stesso e alla quale si deve la redazione della autobiografia già citata “Straight Life”.
Libertà di espressione
Durante questa breve ricerca ho cercato di incrociare la parola libertà con autori importanti il cui pensiero poteva aiutarmi a focalizzare i concetti che mi interessavano. Le parole di Art Pepper che sono riuscito a rilevare, spero a ragione, nella sua intervista che sembrano coincidere con il pensiero di altri, riguardano il concetto di libertà e di progetto individuale. In particolare questi concetti si incrociano bene con la filosofia esistenzialista che negli anni 50’ e 60’ in Francia fa spesso capolino ai margini della scena dove operano i Jazzman americani emigrati in quel paese. Prima ancora gli “Hipsters” degli anni 40’ pare possano rappresentare una espressione dell’esistenzialismo americano da porre in continuità con la successiva nascita del movimento “Beat” che in modo più o meno indiretto ha influenzato il mondo giovanile degli anni 60’ e la musica ad esso legata che poi non ha mancato di influenzare il corso stesso della evoluzione del Jazz. Esponente centrale dell’esistenzialismo in filosofia è stato Jean Paul Sartre. Il concetto di libertà in Sartre viene descritto nelle pagine di wikypedia come derivante dal disancoraggio tra azione e fine dell’azione stessa. Laddove il fine non esercita la sua attrazione con sufficiente forza subentra l’angoscia esistenziale che coincide appunto con l’anelito di libertà e quindi la conseguente spinta all’acquisizione di un nuovo fine. Ma per Sartre il fine è l’uomo stesso che quindi si trova nel paradosso di non poter mai perseguire un fine definitivo e la cui libertà che consiste proprio nel poter scegliere il fine della propria azione, non può trovare risoluzione definitiva dato che ogni scelta corrisponde alla perdita di tutte le altre possibilità. Questi concetti vengono espressi in modo organico con la pubblicazione del suo “L’essere e il nulla” nel 1943. Il suo esistenzialismo viene definito “ateo” dato che il nulla a cui si riferisce e che coincide con la libertà dell’uomo di cercare se stesso nel modo sopra indicato, coincide anche con la venuta meno dei motivi di azione forniti alla coscienza dalla religione. In ambito religioso invece il fine non è l’uomo ma Dio ed ecco come ciò viene descritto in un breve testo tratto dai concerti sacri di Duke Ellington e da lui scritto sul tema della libertà.
Freedom (Duke Ellington)
….”Per essere soddisfatti prigionieri dell’amore O per andare oltre i propri limiti e raggiungere le stelle O cercare di cambiare quello che già siamo Libertà è ciò che avete pensato di sentire … balsamo curativo….. ciò che vi è dovuto…dolce sui lividi etc.. E poi: Spesso penso alla libertà come piaceva a Billy Strayhorn, mio compagno di scrittura e di arrangiamento che è vissuto seguendo quattro maggiori libertà morali: 1) Libertà incondizionata dall’odio 2) Libertà dall’autocommiserazione 3) Libertà dal timore di fare qualcosa di cui potesse beneficiare qualcuno diverso da quello che secondo le sue intenzioni avrebbe dovuto 4) Libertà da quel tipo di orgoglio che potrebbe far credere ad un uomo di essere migliore dei suoi fratelli….” Il tono predicatorio di questo frammento non può che richiamare all’orecchio la musicalità pulsante di fervore espressivo di moltissimo jazz nel quale sembra quasi che l’atteggiamento oratorio del reverendo battista si sia trasformato in un archetipo formativo. Certamente il blues non si è sempre mosso in un’area di influenza cristiana. L’epoca d’oro delle grandi cantanti di blues degli anni 20 che ha coinciso con il periodo di massima diffusione commerciale di quel genere musicale era infatti portatore dei contenuti della quotidianità e dello squallore dell’esistenza ghettizzata della gente di colore che poco avevano a che fare con il fervore predicatorio di cui sopra. Ma infatti tali contenuti ebbero presto vita difficile e man mano che l’america procedeva attraverso la crisi economica dovettero cedere il passo alla musica eterea e sognatrice del contemporaneo jazz bianco di Whiteman e Al Johnson. Tutto meno che blues. In ambito religioso naturalmente il discorso cambia e l’atteggiamento conservatore per eccellenza della chiesa funge come da magazzino all’interno del quale nulla si perde e tutto trova la sua esatta prosecuzione (concetto questo che riprendo da Hobsbawn). Il fatto di essere “perbene” trova perciò un ulteriore campo di applicazione, anche se mi rendo conto che la dimostrazione di ciò dovrebbe comportare la produzione di ben altri documenti. Tuttavia non posso sopprimere l’impressione forte di trovarmi di fronte ad un atteggiamento bigotto che diviene però veicolo per la espressione di una quantità di sentimenti preziosissimi alla evoluzione dello spirito del jazz e che fornisce inoltre una prigione dorata all’interno della quale rifugiarsi dalla pressione sociale fortissima sui neri americani della prima metà del 900. Ma prima o poi una trasformazione avrebbe necessariamente intaccato questa forma di fede estesa all’ambito musicale. Come ho già avuto modo di dire anche le fasi rivoluzionarie non si sono poi totalmente distaccate da questa matrice.
In conclusione la figura di Art Pepper riassume bene i tratti di questa trasformazione che egli stesso ha ritenuto sia dovuta avvenire lontano dai riflettori che non possono che condizionare una evoluzione artistica e umana alimentando tutto ciò che risulta essere in grado di produrre guadagno. La strada impervia che ha scelto Art Pepper credo sia una strada che porta alla possibilità di vivere la musica in una dimensione personale che ci possa porre nella condizione di poter riconoscere altri individui, incontrarli, condividerne la via o meno ma in un regime di maggiore libertà. Su questa strada il progetto musicale coincide con quello di vita e la musica diviene, finalmente in modo laico, il campo della sperimentazione di se’ e della focalizzazione di nuove finalità che emergono all’orizzonte che si scopre al procedere dell’esistenza. Sulla influenza che questo può avere nel corso evolutivo della nostra musica si aprono innumerevoli prospettive ma questo è un altro discorso.
Indice delle fonti
Biografia di Art Pepper scritta da Robert Dupuis al’indirizzo
web: http://www.musicianguide.com/biographies/1608000092/Art-Pepper.html questa interessante biografia è corredata di un elenco di letture consigliate sullo stesso tema: Erlewie, Michael, and others, editors, All Music Guide to Jazz, Miller Freeman Books, 1996. Feather, Leonard, The New Edition of the Encyclopedia of Jazz; Bonanza Books, 1965. Lyons, Len and Don Perlo, Jazz Portraits: The Lives and Music of the Jazz Masters, William Morrow, 1989. Pepper, Art and Laurie Pepper, Straight Life: The Story of Art Pepper, Schirmer Books, 1979. Periodicals DownBeat, September 1982. New York Times, June 16, 1982. Additional information for this profile was obtained from the liner notes to Friday Night at the Village Vanguard, Contemporary; Intensity, Contemporary; Living Legend, Contemporary; The Complete Pacific Jazz Small Group Recordings of Art Pepper, Mosaic; and Smack Up, Contemporary. Biografia di Art Pepper riportata sul suo sito ufficiale all’indirizzo
web http://straightlife.info/apbio.html Scheda sul Libro Straight Life scritta da Marco Bertoli all’indirizzo Web http://www.oblique.it/images/album%20lavori/2007/pdf/artpepper_scheda.pdf Documentario di Don Mc Lynn : Notes from a Jazz Survivor visibile all’indirizzo
web:http://www.youtube.com/watch?v=qb9zxNEc8uQ&feature=player_embedded Intervista ad Art Pepper di Les Tomkins visibile all’indirizzo web: http://www.nationaljazzarchive.co.uk/stories?cat=5 Discografia completa tratta da Wikypedia
all’indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Art_Pepper Storia del Jazz di Arrigo Polillo – Mondadori Storia del Jazz di Eric J. Hobsbawn – Editori riuniti Wikypedia su Jean Paul Sartre